Il 19 giugno a Roma l’incontro annuale dei “Fondatori”
DALL’ASSEMBLEA DEI SOCI
L’INPUT SULLA FERTILITA’
di Maria Luisa Di Pietro
Ritrovarsi una volta all’anno: per condividere percorsi, individuare nuovi spazi d’azione, studiare strategie di intervento. Questi, in sintesi, lo spirito e il contenuto dell’Assemblea generale dei Soci fondatori di Scienza & Vita, che – come ogni anno – si è tenuta a Roma il 19 giugno scorso. Dopo la necessaria presentazione dei lavori dell’Associazione nel periodo giugno 2007 – giugno 2008 (dall’attività di ricerca ai convegni e conferenze stampa, dalla strutturazione della biblioteca presto consultabile anche on-line alla divulgazione tramite comunicati stampa, newsletter ed editoria, dal lavoro “con” e “delle” Associazioni locali agli incontri con i parlamentari), è stata proposta da Lucio Romano – consigliere di Scienza & Vita – una lettura critica e documentata della Relazione ministeriale sull’applicazione della Legge n. 40/2004.
Che il numero delle coppie sterili stia aumentando è un dato di fatto. Molti i fattori concorrenti, non ultima l’età avanzata (fattore di rischio non solo per la donna, ma anche per l’uomo) della ricerca della prima gravidanza. Ed è proprio questo spostare sempre più in avanti il momento della scelta, senza che i tempi biologici possano sincronizzarsi, che fa crescere le possibilità di disperdere una “patrimonio” di cui ciascuno di noi è intestatario: la fertilità.
Le responsabilità? Individuali. I rapporti sessuali precoci e promiscui con il possibile contagio di malattie sessualmente trasmesse; l’uso di contraccettivi e di abortivi; i comportamenti voluttuari: sono noti fattori di rischio di sterilità. Collettive. Una non adeguata attenzione all’ambiente, il cui inquinamento rappresenta un ulteriore fattore di rischio di sterilità; la mancanza di una politica del lavoro giovanile e della casa, che rende impossibile qualsiasi progetto di vita familiare. Culturali. Di cultura sanitaria: l’attenzione ad individuare fattori di rischio anche in età pediatrica. Di cultura della vita: il “posto” di un figlio nella gerarchia dei valori di una coppia.
Certamente, spesso, è difficile capire i “perché” di una sterilità di coppia. C’è una sterilità che accade (ma non è una condanna), e c’è anche una sterilità che potrebbe essere evitata.
Una situazione così ampia e complessa, che necessita di essere conosciuta e affrontata. Scienza & Vita ha dato un suo primo contributo con la pubblicazione di un Quaderno che ha come tema la sterilità maschile, una condizione oggi sempre più frequente e causa di grande disagio. Adesso, vuole fare un passo avanti, cercando di coniugare le istanze che motivano la sua stessa esistenza: l’istanza scientifica, l’istanza antropologica, l’istanza formativa.
E così, nella calda “fucina” dell’Assemblea dei Soci fondatori è stata forgiata l’idea di un “percorso-fertilità”, in cui contenuti informativi, proposta formativa, pressing su chi si occupa della cosa pubblica, possano intrecciarsi positivamente a favore dei giovani e delle coppie italiane.
Con una grande ambizione: offrire un doppio servizio alla vita. Di chi giungerà alla consapevolezza che tutelare la propria vita, salute e fertilità, significa mettere da parte una ricchezza per il domani. Di chi non dovrà essere fecondato in vitro con l’inevitabile rischio di essere “oggetto” di produzione e di controllo, perché la possibilità di una condizione di sterilità è stata prevenuta a monte. Evitando, soprattutto, tanta sofferenza a chi trova difficoltà a far divenire realtà il suo desiderio di vivere la fecondità nella fertilità.
Una “lettura” più attenta della Relazione annuale rivela che…
LEGGE 40: IN CRESCITA
ETA’ PATERNA E MATERNA
di Lucio Romano
Una rilettura dei dati, riportati nell’ultima Relazione annuale a cura del Ministero della Salute sull’attuazione della L. 40/2004, rileva le seguenti evidenze: ridotto successo delle tecniche per il sempre maggior numero di donne in età fertile avanzata, ovvero dopo i 36 anni; esigenza di perseguire obiettivi di salute pubblica quali la prevenzione primaria delle cause di sterilità attraverso l’informazione corretta alle coppie sterili ed alla popolazione a partire dai giovani e la tutela della salute riproduttiva ponendo particolare attenzione alle cause sociali e ambientali; miglioramento della qualità operativa dei Centri che praticano la fecondazione artificiale.
Comunque gli aspetti che richiedono una più attenta riflessione sono: a) epidemiologia e prevenzione della sterilità; b) criticità di sistema inerenti la raccolta dati; c) numero di gravidanze ottenute; d) crioconservazione degli ovociti.
A) Per quanto riguarda i dati epidemiologici, l’infertilità maschile ha inciso per il 34.9% nelle coppie trattate con cicli a fresco. Ciò significa che le cause di sterilità maschile richiedono una particolare attenzione e più accorte politiche sanitarie di prevenzione e controllo. Ma sono i fattori sociali e gli stili di vita che incidono in maniera sempre più rilevante sulla genesi della sterilità, così come codificato nella letteratura scientifica. Ricordiamo solo alcuni: età avanzata nelle donne che programmano la gravidanza; maggiore interesse per la realizzazione in ambito lavorativo che, pienamente condivisibile e auspicabile, non è supportato da interventi sociali a maggiore tutela della maternità e della genitorialità; decremento del peso famiglia (decrased family size) sia sotto il profilo numerico sia, soprattutto, valoriale. Così possono essere richiamati altri fattori, di pertinenza biomedica, che incidono altrettanto significativamente: cattiva alimentazione con obesità o anoressia; fumo di sigarette; insufficiente attività fisica; stress psicologico; eccesso di caffeina e di alcol; esposizione a inquinanti ambientali come radiazioni, campi elettrici e magnetici, pesticidi, solventi. Evidentemente anche le malattie sessualmente trasmesse hanno il loro peso e, così come auspicato dal British Medical Journal, l’educazione in merito alla programmazione familiare dovrebbe prefiggersi primariamente la tutela della futura fertilità e non solo la prevenzione delle gravidanze non desiderate (“education about family planning should deal with protecting future fertility, not just preventing unwanted pregnancy”). Ritornando al fattore età, dalla Relazione si evince che in Italia le donne arrivano in età piuttosto avanzata ad una diagnosi di sterilità: il 20.4% dei cicli, quindi 1 su 4, è stato effettuato su donne con età maggiore o uguale ai 40 anni, mentre nel 2005 questo dato era pari al 20.7%. Così l’età media di accesso alle tecniche di fecondazione artificiale: 35.6 nel 2006. In conclusione, l’età delle donne che si rivolgono alla fecondazione artificiale è già elevata e continua ad aumentare. Infatti il 22.2% ha un’età tra 40 e 44 anni, superiore alla media del 19.1% per il 2005, e ben il 38.3% è tra 35 e 39 anni. Ciò si traduce, come già ricordato, in una maggiore difficoltà ad avere una gravidanza. A riscontro di quanto richiamato, nella letteratura specialistica si riporta che per donne di età tra i 35 ed i 39 anni il rischio di non avere figli è di circa il 30%, mentre per donne tra i 40 ed i 44 anni il rischio è del 63.5%. Così anche l’età paterna incide negativamente con alterazioni riscontrate a carico della qualità, quantità e struttura cromosomica degli spermatozoi. Per la molteplicità dei fattori appena elencati, il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità ed altri Centri di Ricerca stanno sviluppando un vasto programma di interventi e campagne di informazione e prevenzione in merito allo studio della sterilità. E questo è un aspetto qualificante.
B) Anche nell’ultima Relazione sono sottolineate criticità di sistema, quali la perdita di informazioni ed il numero di cicli per Centro. Comunque “la perdita di informazioni sul follow-up delle gravidanze ottenute da tecniche di II e III livello è notevolmente diminuita (21.5% rispetto al 41.3% dell’anno precedente). L’obiettivo da perseguire nei prossimi anni dovrà essere quello di limitare la perdita di informazioni al 5-10%, comparabile con i dati degli altri registri europei. […] Soltanto limitando la quota di gravidanze di cui non si conosce l’esito, è possibile infatti elaborare delle considerazioni in termini di efficacia e sicurezza delle tecniche applicate. […] Il recupero dell’informazione relativa all’esito della gravidanza stessa è un’attività complessa che non tutti i centri svolgono”. Altra criticità è rappresentata dal fatto che molti centri svolgono un numero ridotto di procedure nell’arco dell’anno: ben il 41.1% ha praticato nel 2006 da 1 a 99 cicli, ed il 26.1% da 100 a 199 cicli; mentre solo l’8.2% ha praticato da 500 a 1000 cicli per anno. Questi dati sono in sintonia con la distribuzione dei centri secondo il numero di coppie trattate nel 2006: nel 54.5% da nessun paziente a 100 pazienti. Ciò significa che ben 18 centri non hanno trattato alcuna coppia. Il dato deve interrogarci perché si ripercuote, inevitabilmente, anche sui risultati.
C) Nonostante l’età sempre più avanzata delle coppie che afferiscono ai Centri e gli altri fattori sopra richiamati, ivi comprese le criticità di sistema, le percentuali di gravidanze ottenute con tecniche a fresco su prelievi effettuati è pressoché simile ai risultati inerenti il 2005. In particolare con la tecnica dell’ICSI, quella maggiormente usata, la percentuale di gravidanze per l’anno 2006 è stata del 21.1% e comunque, sul totale delle gravidanze ottenute su prelievi effettuati, è stata del 21.2% così come per il 2005. Pertanto la temuta progressiva e costante riduzione delle gravidanze non sì è verificata. Possiamo dire che c’è stata una stabilizzazione. Parimenti per quanto riguarda le percentuali di gravidanze ottenute, sempre con tecniche a fresco, sui trasferimenti eseguiti: 24.5% per il 2006 così come nel 2005. Una ulteriore riflessione merita il tema dei parti gemellari. Rimane alto il numero di gravidanze trigemine per fasce di età tra i 29 ed i 34 anni. Ciò significa che si trasferiscono, prevalentemente, 3 embrioni. Eppure la L.40 così recita: “ Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”. La traduzione corretta è che non devono essere prodotti 3 embrioni, ma al massimo 3, in considerazione anche dei vari protocolli condivisi e validati a livello internazionale che contemplano un numero ridotto di embrioni trasferiti, anche 1 o 2, per le donne più giovani. Direttamente connesso a questo aspetto è la riflessione in merito al numero di embrioni che venivano trasferiti prima della L.40. Secondo i dati dell’ISS, riferiti al 2003, nel 47.3% si trasferivano 3 embrioni e nel 49.4% da 4 a più. Quindi un maggior rischio di abortività spontanea o indotta con la tecnica della riduzione embrionaria, di natiprematurità, morbilità e mortalità neonatale.
D) Aspetto qualificante della L.40, tra l’altro, è stato quello di favorire e implementare la ricerca sulla crioconservazione degli ovociti. Tecnica, questa, già in corso di studio e di applicazione in pochi centri già operativi da anni sul territorio nazionale ed ampiamente riconosciuti a livello internazionali. Secondo l’ultima Relazione solo nel 7.6% dei centri sono stati effettuati più di 100 congelamenti ovocitari. Certo non si tratta di grandi numeri, tuttavia si rileva un sempre maggiore interesse scientifico e applicativo della tecnica, come supportato anche dalla più recente letteratura scientifica, come ad esempio in merito alle metodologie di congelamento ed alla possibilità di crioconservare gli ovociti o tessuto ovarico nelle donne che devono praticare chemioterapia. A margine della crioconservazione degli ovociti è opportuno fare una ulteriore considerazione. Alcune critiche erano state sollevate in merito ai gravi effetti che si sarebbero avuti sulla salute delle donne in merito al mancato congelamento degli embrioni da cui iperstimolazioni ovariche ripetute e complicanze connesse. Ebbene nella Relazione si riporta un “crollo della iperstimolazione ovarica”: 161 nel 2006 e 250 nel 2005. Ciò significa una maggiore attenzione verso la somministrazione degli induttori dell’ovulazione ed efficacia dei nuovi protocolli.
E) Una riflessione deve essere posta in merito alla tecnica di congelamento e scongelamento degli embrioni. Sono stati scongelati 2378 embrioni e 582 (24.5%) non sono sopravvissuti. Questi dati interrogano sulla eticità di una procedura che di per sé comporta la perdita di un numero significativo di embrioni.
Vivace il dibattito nel corso dell’Assemblea annuale: ecco tre interventi
CRISI DELLA FERTILITA’
REAGIRE CON L’EDUCAZIONE
Ampio il dibattito che si è sviluppato nel corso dell’Assemblea annuale dell’Associazione Scienza & Vita. Da una vasta gamma di interventi abbiamo estratto quelli che hanno affrontato, da angolature diverse, il tema dell’infertilità che per una serie di circostanze sta acquisendo sempre maggiore importanza in sede di diagnosi e di cura. Anche in riferimento all’attuazione della Legge 40 che disciplina la fecondazione medicalmente assistita. Vi offriamo pertanto tre brevi interventi che segnalano l’attenzione di Scienza & Vita per un tema dagli importanti risvolti sociali ed esistenziali.
Dibattito 1 / Sì, è possibile salvaguardare la salute delle donne
TRA EDUCAZIONE RIPRODUTTIVA
E PRESTIGIO DELLA MATERNITA’
di Eleonora Porcu
Come donna e come medico della Riproduzione, sono profondamente convinta che la didattica sia propedeutica a qualsiasi obiettivo che ci prefiggiamo di ottenere per la salute riproduttiva delle donne. Di fatto, noi donne sappiamo poco e male della nostra riproduzione. E non fa differenza che una donna faccia l’architetto o persino il medico o la casalinga o la commessa. I misteri della riproduzione sono nelle mani di pochi esperti che spesso li vendono a caro prezzo e talvolta mistificati. Ad onta della rivoluzione iniziata tanti anni orsono, le nostre scelte riproduttive sono manovrate da una regìa occulta che ci dice quando e come fare o non fare bambini lasciandoci nella convinzione di essere libere protagoniste delle nostre opzioni. Ci lasciano l’illusione di scegliere liberamente di fare bambini in tarda età inseguendo una carriera che comunque non ci faranno fare.
E’ proprio il prestigio di una maternità libera e consapevole che dobbiamo rivendicare come evento centrale della nostra organizzazione sociale, prestigio verso il quale, a mio avviso, vanno convogliate le scelte politiche e le risorse economiche ed intellettuali del nostro Paese.
Sarebbe davvero straordinario se si riuscisse a partire con un progetto di didattica, esattamente, specificamente di didattica della riproduzione. Per questo motivo ho elaborato il progetto “ Scuola di Fertilità ® “ finalizzata all’ informazione e formazione dei cittadini.
Vorrei fare alcune considerazioni sullo stato di applicazione della Legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita. Io credo che quello che spesso viene definito il cosiddetto "sadismo" della Legge 40/2004 e dei suoi disastri procreativi stia diventando un po’ un luogo comune e forse anche un alibi. Fin dall’ inizio io ho ragionato da operatore che deve ottemperare ad una Legge dello Stato con la massima professionalità possibile. Non per mera accondiscendenza ad una legge per la quale in realtà non sono mai stata consultata, ma per interesse alla salute delle donne, ho cercato di capire se ci fosse lo spazio per fare una buona sanità ed impedire l’emigrazione delle nostre pazienti. Francamente questo spazio l’ho trovato, talvolta con lo stupore scientifico di vedere sconfessate le previsioni pessimistiche ma ragionevoli fatte a tavolino.
Uno dei temi più dibattuti anche dai media è l’aumento delle gravidanze multiple a causa dell’obbligo di trasferire tutti gli embrioni generati. La mia strategia di operatore al servizio della salute di noi donne e dei nostri bambini è stata quella di inseminare solo due ovociti nelle pazienti ad alto rischio di gravidanza multipla, ovvero le donne giovani, con molti ovociti, con ovaio policistico ecc. che, nella mia popolazione, costituiscono circa il 5%. Nei risultati preliminari che ho inviato ad una rivista scientifica, ho diviso le pazienti che sono arrivate al prelievo degli ovociti in due gruppi: quelle che hanno inseminato elettivamente due ovociti e quelle che hanno inseminato tutti gli ovociti disponibili, da uno ad un massimo di tre. Ho riportato i dati in base al numero di embrioni che si sono sviluppati, da zero a tre. Di fatto, nel primo gruppo, non ci sono state gravidanze trigemine, per definizione, e la percentuale di bigemine è stata complessivamente del 10.7%. Nel secondo gruppo, che ha inseminato tutti gli ovociti fino ad un massimo di tre, le bigemine sono state il 13.5% e le trigemine 1.4%. La percentuale di gravidanza per trasferimento di embrioni è del 28.5% nei due gruppi presi insieme ( molto più alta, tra il 33 ed il 42% nel gruppo ad alto rischio di gravidanze multiple). I risultati sono in linea con quelli medi del Registro europeo Pma. Secondo la mia esperienza ritengo, pertanto, che sia possibile praticare una buona medicina e salvaguardare la salute delle donne all’interno della Legge 40.
Pragmaticamente credo che gli obiettivi da perseguire siano quelli di una buona pratica clinica e di laboratorio nella Pma, di una ricerca costante delle migliori soluzioni tecnologiche e scientifiche come i migliori terreni di coltura, i migliori incubatori, il migliore e attento sostegno ormonale della fase luteale, la migliore abilità nel trasferire gli embrioni nella cavità uterina, la migliore preparazione professionale degli operatori medici e di laboratorio, l’incentivazione della crioconservazione degli ovociti, tuttora scarsamente praticata, la prevenzione e la terapia della sindrome da iperstimolazione ovarica in centri specificamente qualificati. Ritengo sia essenziale che vengano promosse politiche di : a) incentivazione della crioconservazione degli ovociti attraverso una apposita commissione; b) attuare un serio ed efficace progetto di educazione riproduttiva.
Dibattito 2 / Il pesante impatto della maternità dilazionata
RIVALUTARE SOCIALMENTE
L’ESSERE MADRE
di Clementina Peris
Le parole della Professoressa Porcu sulla necessità di una rivalutazione sociale della maternità mi hanno ricordato un articolo uscito molti anni fa su un’importante rivista in lingua inglese di cui ricordo solo il titolo “Which career first?”. La tesi (di un sociologo) era questa: occorre riconsiderare quale carriera sia da privilegiare per prima, se quella di madre o di professionista. A tal fine offrire elementi per considerare che impegnarsi dapprima con i figli e poi con il mondo del lavoro, anziché viceversa, poteva essere un approccio vincente, anche dal punto di vista della soddisfazione personale. Mi ricordo che l’articolo era stato subissato di repliche anche astiose da parte di molti e molte e i pregiudizi avevano bloccato sul nascere una interessante discussione.
Quanto tempo ci vorrà ora a riconsiderare il male fatto alle persone, prima che alla società?
Dobbiamo impegnarci a ridare una valenza positiva alla maternità come realizzazione piena della vita della donna, della coppia e di una società sana e vitale, perché la maternità non è un ostacolo alla realizzazione di sé sul lavoro, come sanno bene le donne che si sono spese con gioia in famiglia e con soddisfazione sul lavoro.
I mezzi di informazione laici hanno un peso importante e mi sembra che ora si possa trovare un punto di incontro comune data la rilevanza del problema, così come è emerso a livello sociale, la consapevolezza di necessità di supporti per le famiglie e di nuove politiche più coraggiose.
Utilissima sarebbe la promozione di queste politiche con film e sceneggiati che proponessero scelte libere e responsabili, aspetto mai sufficientemente sottolineato dal “politicamente corretto” di anni recenti. In effetti come donna sono stufa dell’irresponsabilità degli uomini e vorrei chiamarli a testimoniare il loro esserci a pieno titolo.
Dibattito 3 / L’errore di puntare subito alla fecondazione artificiale
GRAZIE AI METODI NATURALI
DIAGNOSI PRECOCE DI INFERTILITA’
di Angela Maria Cosentino
A quarant’anni dal’68 e dall’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae ( 25 luglio), alla luce degli attentati contro la famiglia e la vita, che hanno avuto ricadute anche sulla fertilità, un bilancio e una verifica sembrano opportuni.
Il dibattito scientifico e culturale relativo alla fertilità e al preoccupante aumento dell’infertilità, non ha riservato alcuna attenzione ai moderni metodi per il rinvio o la ricerca “naturale” della gravidanza.
Eppure, i Metodi Naturali, da non considerare “contraccettivi”, sono metodi diagnostici che, in base ad alcuni indicatori biologici, direttamente correlati all’andamento degli ormoni ovarici, consentono di individuare le fasi fertili e non fertili del ciclo mestruale.
Circa 1000 insegnanti dei tre Metodi Naturali più moderni ed efficaci (Metodo dell’Ovulazione Billings, Sintotermico Camen e Sintotermico Roetzer, riuniti in una Confederazione, membro del Forum delle Associazioni Familiari) sono presenti in tutt’Italia (www.confederazionemetodinaturali.it).
L’ efficacia dei Metodi Naturali, come pure la loro valenza diagnostica e preventiva è stata riconosciuta.
La Dichiarazione finale del Convegno internazionale “Regolazione naturale della fertilità e cultura della vita” (Università Cattolica del Sacro Cuore, 30-31 gennaio 2004), pubblicata su Medicina e Morale 2004/2 pp. 417 – 419, firmata da docenti delle cinque facoltà di Medicina e Chirurgia delle quattro Università romane, considera “dovere deontologico” da parte dell’operatore sanitario segnalarli alle coppie che ricercano la gravidanza, prima di ogni intervento invasivo (secondo la gradualità dell’approccio all’infertilità auspicato anche dalla Legge 40/’04) e ne auspica un maggiore inserimento nei percorsi formativi delle università.
Ma gli interessi economici legati alla contraccezione e alle tecniche di fecondazione artificiale, come pure un’ideologia che rifiuta lo stile di vita che ispira i Metodi Naturali hanno frenato la diffusione di una proposta che, oggi, potrebbe essere particolarmente preziosa, in assenza di gravi problemi, per ottenere una gravidanza. La laurea H. C. riconosciuta, nel 2005, dall’Università romana di Tor Vergata ai professori John ed Evelyn Billings, ideatori dell’omonimo metodo, pietra miliare della moderna regolazione naturale della fertilità, dovrebbe contribuire a testimoniare la praticabilità di una proposta, valida in ogni contesto socioculturale, utile anche per diagnosticare tempestivamente alcuni problemi di fertilità e impedirne la cronicizzazione.
I Metodi Naturali rappresentano non solo una tecnica per “evitare” o “ricercare” la gravidanza, ma anche una moderna opportunità per intendere la fertilità non come malattia da eliminare o diritto da pretendere, ma come dono e responsabilità: valore umano e sociale da conoscere e tutelare, fin da giovani. Una modalità per riflettere sul significato dei valori in gioco nella procreazione umana ed educare all’autentica procreazione responsabile.