S&V FOCUS | L’accertamento della morte e la donazione di organi: un problema sempre attuale GLI APPROFONDIMENTI DI SCIENZA & VITA | Di Francesca Piergentili

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L’uomo, nel corso della storia, si è sempre confrontato con il problema dell’accertamento della morte: la medicina, la filosofia, la teologia, la morale, la bioetica, il diritto da tempo si interrogano sulla vita e sulla morte dell’essere umano. Il tema è strettamente connesso ai progressi della ricerca e allo sviluppo tecnologico in medicina che rendono difficile definire in alcuni casi il confine tra la vita e la morte: le tecniche di rianimazione, per esempio, permettono di tenere in vita il paziente anche in condizioni estremamente compromesse.

Oggi la morte dell’essere umano, da evento naturale, per lo più da osservare, sembra diventare un avvenimento pianificato e un fenomeno da regolare. Il concetto di morte non è più considerato solo “concetto di realtà”, ma anche un concetto “di valore” e una “socially constructing”: il problema della definizione non è più di esclusiva competenza medica, ma anche etica e giuridica.

La maggior parte delle legislazioni al mondo hanno, ormai da anni, introdotto come criterio di accertamento della morte la cd. “morte cerebrale”, elaborato per la prima volta, nel 1968, da una Commissione ad hoc della Facoltà di Medicina della Harvard University: la morte si ha con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. I criteri clinicamente validi per l’accertamento dell’avvenuta morte sono, pertanto, quello neurologico e quello cardiocircolatorio. Quest’ultimo consiste nell’osservare assenza completa di battito cardiaco e circolazione sanguigna per un determinato periodo di tempo perché si abbia completa perdita delle funzioni encefaliche.

Un recente articolo dal titolo “The Uniform Determination of Death Act is Not Changing. Will Physicians Continue to Misdiagnose Brain Death?”, pubblicato su The American Journal of Bioethics, pone in rilievo una questione importante, legata al rispetto dei criteri di accertamento della morte e il ruolo del principio del donatore morto.

L’articolo riporta che negli Stati Uniti, una percentuale rilevante di pazienti dichiarati morti in base a criteri neurologici non soddisferebbe i criteri legali per l’accertamento della morte. Mentre l’Uniform Determination of Death Act (UDDA) richiede la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, la metà dei pazienti dichiarati morti secondo criteri neurologici conserverebbe ancora la funzione cerebrale di osmoregolazione, cioè la regolazione ipotalamica del bilancio idrico e del sodio. Vi sarebbe, pertanto, la violazione dei criteri legali, non rispettati da decenni nella pratica e nelle procedure diagnostiche utilizzate per l’accertamento della morte cerebrale: le linee guida, anche le più recenti dell’American Academy of Neurology, non valutano la funzione ipotalamica e considerano coerente con la morte la persistenza della funzione. Alcuni autori hanno provato a giustificare tale pratica provando a mettere in dubbio la considerazione dell’ipotalamo come parte dell’intero cervello; altri, invece, sostenendo che l’osmoregolazione sia semplicemente una attività, ma non una funzione, o che sia una funzione ma non rilevante, dal momento che non sarebbe una funzione clinica.

L’autore ricorda la rilevanza della tematica dal momento che la violazione dei criteri legali di definizione della morte, nella pratica come nelle linee guida, equivale a dichiarare morto un essere umano considerato vivente secondo la legge: “In this essay I defend the thesis that if someone is alive according to the law that defines death, they should not be declared dead under that law.”.

Negli USA si violerebbe, inoltre, lo standard legale (“cessazione irreversibile delle funzioni circolatorie e respiratorie”) per dichiarare morto il donatore di organi nella donazione dopo morte circolatoria (DCD): il paziente viene dichiarato morto dopo soli 2-5 minuti dall’arresto cardiaco. Questa cessazione “permanente” della funzione circolatoria e respiratoria è considerata conforme allo standard dell’UDDA: il concetto di “irreversibilità” è interpretato in senso ampio, come fosse equivalente a quello di “permanenza”. Nell’articolo si evidenzia però che in alcuni casi il ritorno della circolazione spontanea può avvenire anche dopo 5 minuti dall’arresto cardiaco: la cessazione della funzione circolatoria e respiratoria non è irreversibile a 5 minuti dall’arresto cardiaco.

Nell’articolo si afferma, così, l’importanza di una interpretazione rigorosa dei criteri per l’accertamento della morte. Se si seguisse il criterio legale dell’UDDA, molto probabilmente il numero di pazienti dichiarati morti diminuirebbe sostanzialmente, così come il numero dei potenziali donatori di organi: l’accertamento della morte in base a una “interpretazione rigorosa” dei criteri legali comporterebbe la riduzione del numero di organi da destinare al trapianto.

Due, allora, sarebbero le ipotesi alternative percorribili: o si dovrebbe abbandonare la regola del donatore morto, che vieta sempre di causare la morte per incentivare la donazione di organi da destinare al trapianto, o si rispetta la regola, pagandone “il prezzo” e, cioè, la diminuzione del numero di organi per il trapianto. La questione è strettamente connessa al tema della fiducia e dell’informazione pubblica – la poca affidabilità del criterio utilizzato per l’accertamento della morte disincentiva la donazione – ma anche alla tematica della distribuzione delle risorse e degli sviluppi della scienza medica.

In Italia il Comitato Nazionale per la Bioetica nel parere del 2010 ricordava che “la definizione e l’accertamento della morte” non devono “avere una finalità ulteriore, nel senso che si deve sempre tenere fermo il principio che la dichiarazione di morte è indipendente dall’eventuale prelievo di organi e da ogni considerazione di ordine utilitaristico relativa ai costi socio-sanitari della assistenza ai pazienti post-anossici”. Il concetto di morte dovrebbe essere certo e unico, non diverso a seconda del fine della diagnosi. Deve, inoltre, riguardare la totalità delle attività encefaliche: cervello, cervelletto e tronco encefalico. Non è, pertanto, sufficiente la compromissione, più o meno irreversibile, della corteccia cerebrale e la perdita delle funzioni di relazioni, ma occorre la cessazione di ogni attività dell’encefalo. Il Comitato rifiuta l’idea che la morte possa essere definita sulla base di una mera “convenzione” fosse anche giustificata da altre ragioni umanitarie e solidaristiche, quali la donazione di organi. A fronte di situazioni complesse, l’essere umano, nell’incertezza della sua morte clinica, deve essere considerato vivo e tutelato.

Nel Parere del 2021- “Accertamento della morte secondo il criterio cardiocircolatorio e “donazione controllata”: aspetti etici e giuridici”- il CNB ha ribadito che la “regola generale e presupposto necessario per considerare come legittimo, sotto il profilo etico e giuridico, il prelievo degli organi ai fini del trapianto terapeutico – sia per l’accertamento della morte con criterio neurologico, sia per l’accertamento con criterio cardiocircolatorio – è che il donatore sia dichiarato morto prima del prelievo degli organi a fini di trapianto (dead donor rule) e che l’avvenuta morte del donatore sia stata accertata secondo criteri validati dalla comunità scientifica, secondo la regolamentazione del Paese dove avviene il prelievo degli organi a seguito di morte attesa e donazione controllata”.

Tra le raccomandazioni si ricorda di “considerare sempre come essenziale la regola del donatore morto e il mantenimento di un tempo congruo di osservazione stabilito dai medici (di 20 minuti per l’accertamento dell’avvenuta morte)” e di garantire l’indipendenza tra il momento della decisione di interrompere trattamenti sanitari di sostegno vitale (in seguito alla valutazione della futilità/inefficacia dei trattamenti o all’accoglimento del rifiuto o rinuncia ai trattamenti) e la valutazione della possibilità della donazione di organi.

I criteri per l’accertamento della morte sono spesso sotto la lente di ingrandimento di scienziati, filosofi e studiosi (chi in difesa della vita, chi in difesa di pratiche utilitaristiche). Di fronte alle problematiche avanzate nell’articolo citato sembra necessario incentivare la ricerca e la riflessione sul tema, anche alla luce del progresso scientifico, ribadendo l’importanza della regola del donatore morto, secondo la quale non si possono mai espiantare gli organi vitali se non è stata costatata con certezza la morte del donatore.

È, infine, di particolare interesse la problematica, che traspare dalla letture del saggio, del rapporto tra legge, linee guida e comunità scientifiche o, più semplicemente, tra medicina e diritto: due discipline chiamate sempre più a confrontarsi e a relazionarsi per promuovere la tutela della vita umana.

 

Per approfondire:

  1. Nair-Collins, M. (2024). The Uniform Determination of Death Act is Not Changing. Will Physicians Continue to Misdiagnose Brain Death? The American Journal of Bioethics, 1–12.
  1. CNB, Parere: “Accertamento della morte secondo il criterio cardiocircolatorio e “donazione controllata”: aspetti etici e giuridici”, 2021.
  1. CNB, I criteri di accertamento della morte, 2010.
  1. CNB, Definizione e accertamento della morte nell’uomo, 1996

 

 

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