S&V FOCUS | Fine vita: disegni di legge in Senato Gli approfondimenti di Scienza & Vita | Di Francesca Piergentili

facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Gli sviluppi scientifici e tecnologici in medicina consentono oggi di “controllare” sempre più la morte della persona, non più considerata un evento naturale ma divenuta un avvenimento pianificabile, nel tentativo di ridefinire il confine tra la vita e la morte dell’essere umano.

La possibilità di mantenere artificialmente in vita pazienti in condizioni estremamente compromesse, senza la ripresa delle funzioni vitali, come nel caso delle tecniche di rianimazione, ha creato situazioni prima “inimmaginabili”, portando alla luce nuove e complesse problematiche sul piano etico e giuridico. Per quanto riguarda il campo del diritto, in tale specifico ambito è intervenuta nel 2019 la Corte costituzionale con la sentenza n. 242.

La Corte ha, come noto, individuato una “circoscritta area” di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa prevista dall’art. 580 c.p., riferita a situazioni inimmaginabili, create dai progressi della scienza e della tecnologia in medicina, corrispondente segnatamente ai casi in cui l’aspirante suicida si identifichi in una persona «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli»; sempre che siano seguite le modalità previste dall’art. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, recante Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, e che le condizioni individuate e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La Corte ha espresso inoltre l’esigenza che sia “sempre garantita al paziente un’appropriata terapia del dolore e l’erogazione delle cure palliative previste dalla legge n. 38 del 2010”, sul presupposto che “l’accesso alle cure palliative, ove idonee a eliminare la sofferenza, spesso si presta a rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita”. Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative deve costituire, per la Corte, un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente.

È questo l’ambito di parziale incostituzionalità dell’art. 580 c.p., individuato dalla Consulta nel 2019. Nella pronuncia si legge che la “declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici”. L’eccezionalità delle condizioni previste dalla sentenza per l’applicazione della non punibilità dell’aiuto al suicidio, alla luce del principio di indisponibilità della vita umana presente nel nostro ordinamento, comporterebbe una stretta interpretazione delle stesse.

Il Giudice delle leggi ha, infatti, riaffermato che dall’art. 2 Cost. discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non il diritto alla morte: è il diritto alla vita il primo dei diritti inviolabili dell’uomo (sent. n. 223 del 1996), in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri. Non sarebbe, pertanto, possibile desumere la generale inoffensività dell’aiuto al suicidio da un generico diritto all’autodeterminazione individuale, riferibile anche al bene della vita. La ratio dell’art. 580 c. p. è “scorta, alla luce del vigente quadro costituzionale, nella «tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere» (ordinanza n. 207 del 2018)”

La verifica delle condizioni che rendono legittimo, nello specifico ed eccezionale ambito individuato, l’aiuto al suicidio è affidata, “in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore”, a strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, cui spetterà vagliare anche “le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze”. Nella sentenza si auspica che la materia formi oggetto di compiuta disciplina da parte del Parlamento, riconoscendo che “una regolazione della materia, intesa ad evitare simili scenari, gravidi di pericoli per la vita di persone in situazione di vulnerabilità, è suscettibile peraltro di investire plurimi profili, ciascuno dei quali, a sua volta, variamente declinabile sulla base di scelte discrezionali”. La disciplina potrebbe essere eventualmente introdotta in vario modo: la Corte indica la possibilità di una eventuale modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 c.p., o anche la modifica della legge n. 219 del 2017 o, ancora, attraverso una disciplina ad hoc per le vicende pregresse (v. par. 2.4 del Considerato in diritto). In ogni caso, come si legge nell’ord. n. 207 del 2018, la Corte affermava che “i delicati bilanciamenti ora indicati restano affidati, in linea di principio, al Parlamento”.

In alcune Regioni italiane è stata presentata negli ultimi mesi una proposta di legge in tema di suicidio assistito, nonostante l’incompetenza del legislatore regionale in una materia estremamente delicata, che incide su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, e “suscettibile di investire plurimi profili, ciascuno dei quali, a sua volta, variamente declinabile su base di scelte discrezionali”: la materia sarebbe riservata, anche per ragioni imperative di uguaglianza sul territorio nazionale, alla competenza esclusiva del Parlamento nazionale, riguardando l’ordinamento penale e l’ordinamento civile (ex art. 117, comma secondo, lettera l), Cost.).

In ogni caso, avrebbe il solo Parlamento piena discrezionalità in materia, nel rispetto dei limiti e dei principi costituzionali.

Attualmente in Senato sono assegnati cinque disegni di legge (AA.SS. nn. 65, 104, 124, 570 e 1083) alle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale ed è stato proposto un ciclo di audizioni. Il Servizio studi del Senato ha da poco pubblicato un dossier in materia.

I disegni di legge hanno contenuti, presupposti, procedure, finalità molto diverse tra loro.

In estrema sintesi si riportano le principali differenze. Il disegno di legge A.S. n. 65 introduce modifiche al codice penale, alla legge n. 38 del 2010 e alla legge n. 219 del 2017, riscrivendo il primo comma dell’art. 580 c.p., distinguendo, anche sul piano sanzionatorio, la condotta della determinazione e del rafforzamento del proposito suicida e la condotta della agevolazione dell’esecuzione del suicidio. La proposta contiene una nozione ampia di «paziente», che modifica quella contenuta nella legge n. 38 del 2010, ricomprendendo anche la persona affetta da patologia inguaribile o degenerativa, fisicamente totalmente invalidante, anche non terminale, o con disabilità irreversibile, anche non terminale, connotate da sofferenze fisiche o psichiche costanti, refrattarie ai trattamenti sanitari. Il disegno di legge modifica la legge n. 219 del 2017 prevedendo la possibilità di effettuare la sedazione palliativa profonda continua a soggetti con gravissime patologie o disabilità, irreversibili, inguaribili e totalmente invalidanti, anche non terminali, la cui condizione clinica causa sofferenze refrattarie a qualsiasi trattamento sanitario.

Il disegno di legge A.S. n. 104, reca disposizioni in materia di “morte volontaria medicalmente assistista“, disciplinando la facoltà di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita, riproducendo nella sostanza il contenuto dell’atto approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati nella passata legislatura (c.d. “Bazoli”).

Il disegno di legge A.S. n. 124, prevede il diritto al suicidio medicalmente assistito e all’eutanasia, fornito dal Servizio sanitario nazionale, qualora la persona maggiore di età e capace di intendere e di volere, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale o (e non “e” come indicato nella sent. n. 242) affetto da una condizione clinica irreversibile, ovvero da una patologia a prognosi infausta che non sia di natura psichiatrica o psicologica, tale da procurargli sofferenze evidenti, insostenibili e irreversibili, richieda in modo inequivocabile e come espressione piena della propria libera autodeterminazione di sottoporsi a tali procedure.

Il disegno di legge A.S. n. 570, prevede per ogni soggetto maggiorenne, capace di intendere e volere, il diritto, a determinate condizioni, al trattamento eutanasico (ricomprendendo sia il suicidio assistito, definito «morte volontaria medicalmente assistita», sia il «trattamento eutanasico»). Il diritto di richiedere tale trattamento viene riconosciuto al paziente, maggiore di età e capace di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli, nel caso di sofferenze fisiche o psichiche insostenibili e irreversibili, o nel caso di una patologia caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta. Si ha la coscienza di andare ben oltre la circoscritta area di non punibilità individuata dalla Consulta: come si legge nella Relazione illustrativa “le situazioni sottratte dalla Corte all’operatività dell’articolo 580 del codice penale coprono solo una parte del più vasto scenario di malattie irreversibili, fonti di intollerabili dolori e profondamente offensive della dignità del malato e, in siffatti contesti, l’aiuto al suicidio non presenta una sostanziale differenza rispetto all’omicidio del consenziente e non coinvolge comunque la citata sentenza”.

Infine il disegno di legge A.S. n. 1083, si muove su una prospettiva diversa, proponendo l’aggiunta di un comma nell’art. 580 c.p., per una diversa articolazione della misura della pena per il reato di istigazione o aiuto al suicidio, prevedendo limiti minimi e massimi più bassi per i casi che rientrino nelle seguenti concomitanti condizioni: il fatto sia commesso nei confronti di persona tenuta in vita esclusivamente per mezzo di strumenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabile sofferenza; l’autore conviva stabilmente con il malato e agisca in stato di grave turbamento, determinato dalla sofferenza altrui. Si distingue, pertanto, la posizione di chi non ha alcun legame con il paziente e di coloro che, invece, da più tempo soffrono con il malato a causa della costante vicinanza allo stesso: la convivenza rappresenta un parametro che agisce sulle ragioni di attenuazione. In presenza delle condizioni, è comminata al convivente autore del fatto la pena della reclusione da sei mesi a due anni. Il disegno di legge reca poi modifiche alla legge n. 219, tra le quali: dal possibile ambito delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) sono escluse la nutrizione e l’idratazione artificiali, che pur se garantite attraverso ausili tecnici sono espressamente escluse dal novero dei trattamenti sanitari; si semplificano le modalità di revoca delle DAT in condizioni di emergenza e urgenza; si integra l’art. 2 della legge n. 219, indicando ulteriori requisiti per la sedazione palliativa profonda.

Quasi tutti i disegni di legge, ad eccezione dell’ultimo, estendono ampiamente l’area di non punibilità individuata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242, introducendo anche l’eutanasia nell’ordinamento italiano “offerta” dal SSN, con l’affermazione di un diritto alla morte non presente nel nostro ordinamento che presuppone, invece, la vita come oggetto di un diritto fondamentale. Anche se la discrezionalità del Parlamento è piena in materia, questo non può spingersi oltre i limiti costituzionali.

La mancata applicazione (ultradecennale) della legge n. 38 del 2010 che prevede la via umana della cura totale nella vulnerabilità rappresentata dalle cure palliative, come anche i ritardi applicativi della legge n. 219 del 2017, dovrebbero far riflettere sulle contraddizioni e sui paradossi di una cultura dello scarto che vorrebbe veder sancito il diritto alla morte senza aver prima assicurato l’effettività del diritto alla cura a chi è nella fragilità, in nome di un astratta autodeterminazione che dimentica la finalità di protezione, contenuta nell’art. 580 c.p. ma anche nei doveri costituzionali di solidarietà, di chi attraversa difficoltà e sofferenze.

 

Per approfondire:

  1. Senato, Servizio Studi, Disegni di legge in materia di morte volontaria medicalmente assistita e sul reato di istigazione o aiuto al suicidio (AA.SS. nn. 65, 104, 124, 570 e 1083), aprile 2024

 

 

 

 

image_pdf
facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail
Pubblicato in Box in evidenza, Uncategorized